Lavoro notturno, mix di regole per la gestione
La formula per definire “notturno” un lavoratore. Cioè il numero di ore di lavoro svolte di notte, per un certo periodo di tempo. Può essere una combinazione dei parametri fissati dal contratto collettivo con quelli di legge. Vediamo i chiarimenti dell’Inl.
Il D.Lgs. 66/2003 individua i profili principali relativi all’organizzazione dell’orario di lavoro. Tra questi la definizione di periodo notturno e lavoratore notturno, oggetto della nota INL n. 1050/2020 in analisi.
Ad esempio, se in un Ccnl viene stabilito che è lavoratore notturno chi svolge tre ore del proprio orario giornaliero di lavoro in periodo notturno, ma non è fissato un arco temporale. Ad esempio il numero minimo di giorni in un anno nei quali la condizione deve verificarsi, quest’ultimo può essere acquisito dai requisiti di legge. La quale prevede un minimo di ottanta giorni in un anno.
Lo precisa l’Inl nella nota n. 1050 del 26 novembre 2020. Con altre due note l’Ispettorato nazionale del lavoro interviene in tema di apprendistato e di orario di lavoro nella vigilanza privata.
La tutela dei lavoratori
Si ricorda che in base al decreto legislativo 151/2001 che prevede le misure a sostegno della maternità e paternità per alcune specifiche categorie di lavoratori. Il datore di lavoro è tenuto a rispettare quanto previsto in questi casi.
Nello specifico è vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.
Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno le lavoratrici madri di un figlio di età inferiore a tre anni. Ovvero, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa. Ancora, la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903. Non sono altresì obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
Lavoratori notturni
Il D.Lgs n. 66/2003 definisce notturno il periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Per individuare le sette ore consecutive si fa riferimento all’orario di lavoro fissato dal Ccnl e dal contratto individuale. Per esempio, il periodo notturno potrà essere quello che decorre dalle 2 alle 5 o dalle 23 alle 6 o, dalla mezzanotte alle 7.
Lo stesso provvedimento, inoltre, definisce notturno il lavoratore che risponde ad altre possibili condizioni. Cioè il lavoratore che stabilmente, in periodo notturno, svolge almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero. Ovvero, colui che svolge in periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme dei Ccnl. Dunque anche inferiore o superiore a tre ore per un certo numero di giorni all’anno.
In difetto di Ccnl sarà considerato lavoratore notturno colui che svolge per almeno tre ore lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno. Tale valore chiaramente è da riproporzionare in caso di part time.
Con riferimento agli 80 giorni di cui sopra, vi è da chiarire che, con sentenza n. 37903/2012, la Corte di Cassazione si è espressa affermando che l’anno da prendere a riferimento deve decorrere dall’inizio del rapporto di lavoro, non potendo essere preso a riferimento un periodo arbitrario o convenzionale.
Una precisazione
Il riferimento all’anno deve, quindi, “calcolarsi dall’inizio del rapporto di lavoro, in modo tale che per ogni effettivo anno di rapporto di lavoro (…), il lavoratore abbia la garanzia di non dover prestare più di 80 giorni di lavoro notturno”.
Nel caso in cui il Ccnl non specifica il numero di ore giornaliere di lavoro rilevanti, precisa l’Inl, trova applicazione la disciplina normativa. Dunque tre ore nel periodo notturno per 80 giorni l’anno.
Così come, nel caso in cui il Ccnl si limiti a indicare uno solo dei parametri. Cioè ore giornaliere e/o giorni annuali. Il secondo, ai fini della definizione del lavoro notturno, è individuato in quello previsto dalla legge.
Apprendistato
E’ stato anche chiesto un parere sulla possibilità di trasformare un contratto di apprendistato di I livello in un contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca. Ovvero la successione dei due contratti, per il conseguimento di titoli di studio successivi. Con la nota n. 1026/2020 l’Inl spiega che non è possibile la trasformazione. Ciò perché la disciplina normativa prevede espressamente tale possibilità solo per l’apprendistato professionalizzante.
Invece è possibile la successione id un nuovo rapporto di apprendistato se il piano formativo è diverso dal precedente rapporto di apprendistato concluso. In ogni caso, vanno analizzate le previsioni della normativa regionali.
Vigilanza privata e lavoro notturno
Rispondendo ad apposito quesito. Con nota n. 1062/2020 l’Inl precisa che nel settore vigilanza privata non si applica la disciplina sanzionatoria in materia di orario di lavoro. Cioè l’art. 18-bis del D.Lgs n. 66 dell’8 aprile 2003.
Tale esclusione, riferita agli “addetti ai servizi di vigilanza privata” scaturisce dalla totale esclusione della disciplina dell’orario di lavoro nel settore vigilanza privata.
Di seguito, cliccando sui pulsanti, potrai scaricare le note Inl prese in considerazione nell’articolo: