Modello 231: necessaria la valutazione prima della sanzione
Il POS non è il modello 231 di organizzazione e gestione. Senza una espressa valutazione di quest’ultimo la società non può essere sanzionata, sulla base di quanto prevede il decreto 231, per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.
Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 43656/2019 della Quinta sezione penale depositata lo scorso 28 ottobre. Dove per POS deve essere inteso il Piano Operativo per la Sicurezza e per il Mogc, il modello 231 di organizzazione, gestione e controllo. E’ accolto così il ricorso presentato dalla difesa di una società, sanzionata sul piano economico per il reato di omicidio colposo in violazione della disciplina di sicurezza sul lavoro.
In entrambi i giudizi di merito la responsabilità penale della persona fisica del datore di lavoro/preposto alla sicurezza si era poi ripercossa sulla responsabilità amministrativa dell’impresa. Una equazione che però la Cassazione smentisce, invitando invece il giudice a una più attenta e puntuale valutazione del modello organizzativo. Che pure esisteva, ma che i giudici non hanno mai preso in considerazione.
La differenza tra modello 231 e POS
Giudici che invece si sono soffermati sul POS, che però, ricorda la Cassazione, è cosa diversa dal modello 231 organizzativo e di gestione. In materia di reati colposi compiuti trasgredendo le disposizioni a presidio della sicurezza dei luoghi di lavoro la Cassazione si è espressa in modo chiaro. Compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello 231 organizzativo e di gestione ex articolo 6 del decreto legislativo 231/01.
Poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme. Infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica di prevenzione prima della commissione del fatto.”
Inoltre, non passa indenne dall’esame della Cassazione neppure l’identificazione dell’interesse o vantaggio fatta dai giudici di merito relativa al modello 231. L’identificazione dell’interesse o vantaggio dell’impresa alla commissione del reato è infatti condizione necessaria per la punibilità. I giudici di merito, a parere della Cassazione, hanno argomentato in maniera apodittica e comunque insufficiente.
Quando invece, dall’esame dei fatti, era emersa almeno la stipulazione di un contratto di nolo a caldo. C’era infatti stata la messa a disposizione di un bene e di un servizio funzionale all’utilizzo del bene stesso. Tra una associazione temporanea di imprese, titolare di un appalto pubblico, e una srl. Quest’ultima aveva fornito in noleggio una perforatrice e l’addetto era poi rimasto vittima di un cedimento del suolo.
Conclusioni
Per quanto appena visto è anzitutto doveroso inquadrare nel modo corretto la presenza o meno di un modello 231. Oltre a ciò è necessario approfondire con la dovuta perizia sia il rispetto della norma di tale modello e sia l’eventuale interesse o vantaggio dell’impresa alla commissione del reato. Senza tutti questi necessari approfondimenti non è possibile procedere alla sanzione ai sensi del Dlgs 231/01.
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