Quello del rischio biologico è uno dei fattori di rischio di cui si discute di più negli ultimi anni. Questo in virtù dell’attuale contesto pandemico dovuto al Covid19.
Non che prima del 2020 non ci fosse nessuna regola. Anzi, il Titolo X del D.Lgs 81/08 è dedicato proprio al rischio biologico ed è presente ed in vigore da molti anni ormai. Tuttavia, con l’inizio della pandemia hanno tenuto e tengono tutt’ora banco discussioni più o meno accese legate a criticità emerse in funzione, effettivamente, di una situazione senza precedenti nei tempi recenti.
Il rischio biologico
Il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro chiede di valutare questo fattore di rischio in ogni luogo di lavoro. Devono essere quindi prese in esame tutte quelle attività relative alle caratteristiche specifiche del lavoro svolto.
Più spesso di quanto si pensi infatti, senza nemmeno rendersi conto, è possibile che vi siano esposizioni ad agenti biologici all’ interno della lavorazione svolta. La valutazione del rischio biologico mira proprio a portare avanti questo studio.
Il datore di lavoro è chiamato a valutare il rischio per i lavoratori durante l’attività lavorativa. Ad esempio, se ci si occupa di smaltimento dei rifiuti sarà ragionevole attendersi che vi sarà almeno una parte di lavoratori esposti in modo importante a questo fattore di rischio. Non solo, questo fattore di rischio potrà essere presente anche in tante altre realtà lavorative.
L’esempio “classico” è il settore sanitario. Tuttavia si potrà avere una esposizione anche nel lavoro di ufficio e così via.
Cosa bisogna fare
Insomma, il datore di lavoro è chiamato a vagliare con attenzione tutte le fasi di lavoro ed individuare in queste quelle in cui vi è esposizione a questo fattore di rischio. Dovrà poi chiaramente valutare se sono disponibili efficaci misure di sicurezza per ridurre il più possibile il rischio biologico. Tra queste, un esempio tipico è rappresentato dai dispositivi di protezione individuale.